La_città_della_ceramica-La-sciarra CALTAGIRONE CITTA' DELLA CERAMICA
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PAESAGGIO PLASMATO DA ANTICHISSIME MEMORIE, SVETTATI CAMPANILI MAI SAZI DI CIELO, COLORATI DI LICHENI, PRONTI A BALZARE DALLE COLLINE AVVILUPPATE DI TETTI, CALTAGIRONE E’ SCENOGRAFIA SPONTANEA COSTRUITA PER AMORE.
IL SUO PROFILO NETTISSIMO, UN INTAGLIO DI GEMMA, OSPITA ANCORA OGGI I RICORDI DELLE GRANDI CIVILTà CHE NE HANNO FECONDATO LA STORIA.
SICANI E SICULI POPOLARONO DI GIGANTI L’ACROPOLI, I GRECI POSERO ATHENA A NUME TUTELARE DEI VASAI CALATINI, GLI ARABI PROFUMARONO DI ZAGARA I SUOI TERRITORI ED I NORMANNI RICONOBBERO “CALATAGERUN” CITTA’ LIBERA E DEMANIALE.
IL SUO CUORE è UN AMALGAMA IRRIPETIBILE E PULSANTE NEL QUALE E’ IMPOSSIBILE DISTINGUERE QUALE DELLE SUE CENTO ANIME PREVALGA: IL CENTRO STORICO CON LE VESTIGIA MEDIEVALI, LE QUINTE BAROCCHE CHE APRONO A SCENARI NATURALI, LE VIUZZE ISLAMICHE ANCORA INTATTE, I POSSENTI EDIFICI PUBBLICI, LE SUPERBE CHIESE, PALAZZI DI PRINCIPI ABITATI DA RE, MUSEI, CASE PRIVATI, BOTTEGHE CERAMICHE DOVE LA TRADIZIONE E’ MISURATA IN MILLENNI.
NON PUO’ RACCONTARSI LA SCALINATA INCROSTATA DI MAIOLICHE CHE ARRAMPICANDOSI BALZA FIN OLTRE IL CIELO E CHE DI NOTTE, DISEGNATA DA POETI, SI ACCENDE DEI FUOCHI DEI NOSTRI SOGNI.
AMERETE LE IRRIPETIBILI TINTE DELLE SUE CERAMICHE, LE SUE MISTERIOSE PASSEGGIATE ARCHEOLOGICJHE, I SUOI GIARDINI E LE SUE VILLE PATRIZIE, IL SUO POPOLO FIERISSIMO PER IL QUALE L’OSPITALITA’ E SEGNO D’ONORE.

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Caltagirone e la ceramica

Con il termine ceramica, derivato dal greco keramos (argilla, vasellame), s’indicano in generale gli oggetti prodotti modellando la terra e sottoponendola all’azione della cottura. Essi costituiscono una classe variatissima e universale per la materia largamente disponibile ovunque e per la semplicità di lavorazione; queste condizioni offrirono, inoltre, insieme all’uso utilitario, un mezzo facile e graduale di espressione decorativa. Il prodotto più semplice e antico della ceramica è la terracotta in cui l’argilla è usata, a seconda i tempi e i luoghi, con diversi gradi di depurazione: dagli “impasti” grossolani, alle fini argille figuline. Il vaso primitivo era foggiato a mano libera applicando l’argilla a un rudimentale stampo formato da un cestello vegetale, o “a crosta”, cioè distendendo l’argilla come una pizza, o “a lucignolo”, cioè sovrapponendo cordoni di argilla uniti con la pressione delle mani. Consolidato al sole, levigato con una stecca di legno o di osso, il vaso era poi messo a contatto diretto del fuoco per una cottura rudimentale.
   Il progresso di enorme portata fu rappresentato dall’invenzione della ruota o tornio, per mezzo di cui il vasaio imprime alla massa d’argilla un movimento concentrico che permette di plasmare vasi simmetrici, con pareti di spessore ridotto e regolare. La primitiva attrezzatura del vasaio si completò, in pratica, con la costruzione del focolaio e camera di cottura separate. Con esso il calore si diffonde uniformemente e penetra totalmente le pareti dei vasi evitandovi le macchie e le zone stratificate, dall’approssimativo cotto. L’argilla sembra sia stata utilizzata per la prima volta nel vicino Oriente, tra il IX e l’VIII millennio a.C., rivestendo i cesti di vimini per renderli impermeabili. Non a caso i primi vasi presentano una decorazione che imita l’intreccio. La ceramica, benché prodotta anche in precedenza, ha la sua più antica e maggiore fioritura con il periodo neolitico quando la “rivoluzione agricola” nel frattempo prodottasi, chiede, come mai prima, l’uso di recipienti per la conservazione e la manipolazione degli alimenti. Il diffondersi del neolitico agricolo ha quindi come conseguenza, il diffondersi della produzione ceramica avente, come retaggio della comune origine, gli stessi caratteri di forme e decorazione. In Sicilia il neolitico e, con esso, la più antica ceramica giunge tra il V e il IV millennio a.C. diffondendosi ben presto dalle coste verso l’interno della Sicilia.

Il Neolitico

La ceramica Neolitica è il frutto di una produzione molto attiva eseguita a mano libera, senza tornio, nell’ambito di ogni famiglia. Presenta una decorazione impressa a crudo, a motivi d’intreccio o una dipinta in bande rosse e nere. A Caltagirone questo tipo di ceramica si trova attestata nei villaggi preistorici di Sant’Ippolito, Monte Scala, Poggio Pille.
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L’età del Rame

Con la cosiddetta “età del Rame” giunge nel territorio calatino una nuova “moda”, o ceramica, con caratteristiche forme a fiasco, tazze, etc., decorate da motivi neri o bruni su fondo giallo o rossiccio. Questa produzione imita chiaramente forme e decorazioni della coeva ceramica dell’Isola di Cipro e delle coste egee tanto da pensare all’arrivo di “coloni” in questa zona della Sicilia. La località più importante ove questo tipo di ceramica è presente, è il villaggio di Sant’Ippolito che ha dato il nome alle ceramiche così fatte.
 

L’età del Bronzo

La ceramica dell’età successiva, detta del Bronzo, mostra, invece, contatti così stringenti con quella prodotta nell’area Egeo-Anatolica, da fare supporre stretti rapporti o commerci tra la Sicilia e il vicino Oriente. Le forme caratteristiche sono i vasi “a fruttiera”, “a clessidra”, calici, tazze, pentole, etc., la decorazione consiste in motivi geometrici neri su fondo rosso. In questa età i villaggi che attestano tale ceramica sono numerosissimi nel territorio di Caltagirone, ricordiamo fra i tanti, quelli delle contrade Angelo,  Moschitta, San Mauro, Paradiso, Monte Balchino, etc. Alla fine dell’età del Bronzo è introdotto, con ogni probabilità dalla Grecia, l’uso del tornio che permette una produzione più accurata e numerosa, influenzata fortemente dalla cultura che i Micenei, con i loro viaggi commerciali, diffondevano dall’Egeo per tutto il Mediterraneo centro-orientale. Si tratta di vasi spesso di grandi dimensioni: su alto piede, pissidi, teiere, anfore, etc. a superfice rossa lucida spesso con fitte solcature. Tale ceramica si trova nel calatino nelle vastissime necropoli scavate nelle rocce della contrada “Montagna”, necropoli tra le più grandi e interessanti dell’intera Sicilia.
 

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L’arrivo dei Greci

Nella metà dell’VIII secolo inizia la colonizzazione greca che si espande velocemente dalle coste all’interno della Sicilia. L’arrivo dei Greci determina una produzione di alto livello e quasi “industriale” e l’introduzione in progressione di stili del tutto nuovi: a decorazione geometrica, a figure nere e rosse. Caltagirone per la presenza nel territorio di estesissimi boschi di querce e di cave di argilla, si avvia a divenire un centro importante nella produzione ceramica siciliana. Testimoniano questo suo ruolo, ritrovamenti di fornaci per la cottura della ceramica (ricordiamo la scoperta di una fornace di età greca nell’Orto di San Gregorio), e la rappresentazione su un vaso di fattura locale della scena di un vasaio assistito dalla dea Athena, che foggia il vaso su un tornio fatto girare da un ragazzino. La produzione continua benché impoveriti in età romana e bizantina come testimoniano i ritrovamenti nelle località di Cotomino, Santa Margherita, Piano Casazze, San Mauro, etc., ed è vivificata dall’apporto importantissimo degli Arabi che nel IX secolo conquistarono l’intera Isola.
 

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Epoca Araba

Furono loro che, conquistata la Sicilia nel periodo più fiorente della loro civiltà, ridestarono la fiamma nelle fornaci siciliane. Praticando e insegnando la tecnica dell’invetriatura del vasellame, attinta in Persia, in Siria e in Egitto, portarono a notevole dignità l’arte della ceramica isolana. L’invetriatura servì allora, e tutt’oggi, per ricoprire i prodotti ceramici di uno strato vetroso di qualsiasi natura. Essa può essere alcalina, piombifera e stannifera ma le tecniche più usate sono le ultime due. L’invetriatura piombifera, a base di piombo, è trasparente e usata come vernice; la stannifera, composta di stagno, detto smalto è invece opaco e maschera il prodotto sottostante. L’invetriatura stannifera si diffuse dalla Spagna verso la fine del XIII secolo. I musulmani oltre a fare rifiorire tale attività in Sicilia, continuarono l’arte della ceramica anche sotto i normanni agli svevi, grazie al clima di tolleranza dei monarchi verso loro. Caltagirone fu uno dei centri più favoriti della presenza degli arabi, affluiti in essa per particolari avvenimenti storici, la cui presenza è documentata dal ritrovamento di forni con resti di ceramica in stile musulmano. Di tali rinvenimenti parla il gesuita P. Francesco Aprile, che fu testimone oculare quando, ai primi del ‘700, in occasione dell’escavazione in un acquedotto entro la Selva del convento di San Bonaventura, furono trovate, a notevole profondità, le officine dei “cannatari”. La distruzione di tali officine avvenne nel 1346 in seguito all’immane sprofondamento del quartiere musulmano di Caltagirone. Altri elementi ricordano la presenza dei musulmani a Caltagirone, difatti fra gli antichi ceramisti locali, è menzionato, verso la fine del sec. XV, un certo Pietro La Mussa, la cui bottega si trovava vicino la chiesa di San Giorgio e il cui cognome indica l’origine araba. Ancora, frammenti ceramici, con decorazioni semplici in nero, ritrovati sotto i ruderi dell’antico castello, richiamano i motivi della ceramica musulmana di Lucera.
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Epoca Normanna e Sveva

Altri reparti scoperti recentemente accanto alla chiesa di San Giorgio, attestano la continuità della produzione della ceramica calatina non per i periodi precedenti, ma anche oltre l’epoca della dominazione sveva e fino al sec. XV. Tra i resti ritrovati a San Giorgio, si rilevano ancora forme di ceramica prodotta all’epoca normanna e sveva, mentre la tecnica, a lieve copertura stannifera, ricorda l’arte musulmana. Sono bacini e piatti in semplice terracotta di forma incavata, con tese lievemente rialzate, decorate con motivi ad archetti, a nodi, a trecce o con animali come la colomba e il pesce, che simbolizzano i diporti preferiti alla corte di Federico II. Dipinti sul fondo sono pennellati poi con il verde ramina, giallo ferraccia, blu slavato o con il solo verde ramina torbida. Questo tipo di decorazione si è ritrovato anche in fabbriche siracusane dell’epoca normanna.
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Epoca Spagnola

Nel secolo successivo (XVI) si perde la varietà di luce creata dai colori, e si accentua uno stile decorativo semplice e lineare. Una sempre maggiore diffusione ha l’uso dell’invetriatura stannifera. La colorazione è ora in manganese, giallo e verde con l’uso più esteso del blu. Sul vasellame di questa epoca si ritrovano dipinti anche motivi di scudi e stemmi dei vari casati siciliani e spagnoli del tempo, che indicano le famiglie per le quali gli artigiani lavoravano. Ad esempio, in un boccale o “cannata” del secolo XIV, conservato nel Museo Regionale della Ceramica, è dipinto lo stemma della famiglia incisa, costituito da uno scudo con tre fasce verticali e tagliate da una diagonale. Questa decorazione di gusto spagnolo e catalano perdurerà in parte, accanto a modelli di più recente importazione ed elaborazione, sino al terremoto del 1693.

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Epoca Rinascimentale

Infatti, tra il XV e il XVII secolo, gli influssi dell’arte rinascimentale pervadono la Sicilia, benché i ceramisti dell’isola nel tentare un’imitazione formale si avviino invece verso la decadenza. Tale aspetto negativo è meno sentito dagli artigiani caltagironesi, forse perché lontani dalle città costiere che erano più a diretto contatto con il continente attraverso il mare e perché mantenevano ancora il tradizionale stile trecentesco in turchino. Caltagirone, avendo rapporti commerciali con ampie zone dell’interno dell’isola, poté mantenere fiorente l’artigianato locale producendo una ricca schiera di “maiolicai” che mantenne il primato in tutta l’Isola anche dopo il disastroso terremoto del 1693. Lo stesso Polizzi, cronista e ceramista, afferma che la ceramica di Caltagironese si vendeva a “…ottanta miglia all’intorno…”. Benché si mantenesse la tradizione locale, anche a Caltagirone s’introduceva lo stile dell’arte continentale, specie di quella ligure e veneta, attraverso gli scambi con le città costiere, inducendo i ceramisti a decorare le loro stoviglie con tonalità di turchino, anche se più intenso, unendovi decorazioni in blu e bianco e motivi lineari e a fogliame. In questi secoli (XV, XVI, XVII), oltre alla produzione del vasellame, è vasta quella delle mattonelle per pavimenti di chiese, edifici pubblici e case private. Nei suaccennati secoli, attraverso dati raccolti in archivio e frammenti di mattonelle, si sono rivelati anche varie forme, la decorazione e i processi con cui erano composti. Dai resti scoperti, si sono potuti distinguere vari tipi di pavimentazione. Alcuni pavimenti erano composti in maiolica e terracotta, di cui esisteva una particolare disposizione con mattonelle maiolicate, quadrate o rettangolari con disegni geometrici, che inquadravano la parte centrale del pavimento fatto con mattonelle esagonali in terracotta. Un altro tipo presentava il campo fatto con quadratini maiolicati intersecanti le mattonelle ottagonali in terracotta. Erano prodotti anche pavimenti solo in maiolica con mattonelle smaltate in bianco, turchino, manganese, che assumevano la forma di stelle a sei punte e a forma rombo. Attraverso esemplari di pavimenti riguardanti a conventi e chiese, come San Francesco d’Assisi, Santa Chiara, San Giuliano e San Giorgio, si sono osservati motivi nati nel XVI secolo, che sono di genere floreale, a figure umane e animali, dipinti in blu, verde e giallo. Caratteristica di questo periodo, come decorazione è anche la palmetta persiana. La ceramica nel ‘600 crea, per la decorazione, motivi nuovi anche se richiamanti quelli del ‘500 e quelli siculo-arabi, normanni, spagnoli e rinascimentali. Tali motivi, che si trovano anche sul vasellame, come avveniva anche nelle epoche precedenti, sono costituiti da fiori, fogliame uniti a figure di uccelli. Per la colorazione è usato il blu o il giallo, verde su copertura di smalto bianco e brillantante. Sulle mattonelle si usa invece il fondo blu con ornamentazioni in bianco, blu e turchino. La produzione della fine del secolo presenta una certa stanchezza sia d’invenzioni sia d’ispirazioni, per cui si ripete nelle riproduzioni, operando una sintesi di massa, preoccupata più dalla quantità che dalla qualità.
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Secoli XVIII e XIX

Nel secolo XVIII nonostante una certa decadenza formale, la produzione della ceramica caltagironese continua, ansi si diffonde ampiamente, nei centri dell’interno della Sicilia. Sappiamo difatti che a Enna, nel primo ‘700, erano in uso le ceramiche caltagironesi. Si produceva anche un tipo di ceramica detta di “mursia”, termine indicante il tipo di ceramica smaltata ligure o napoletana ma anche quella locale. Tali oggetti maiolicati, che sono attestati in inventari notarili, pare siano stati prodotti prima del terremoto del 1693, che, oltre ad aver danneggiato buona parte dell’abitato e quindi distrutte parecchie opere d’arte, causò una grave crisi nel commercio e nell’artigianato. Tuttavia l’attività riprese con ritmo fervido appena superata la situazione dolorosa. La ricostruzione richiedeva, infatti, ampiamente, per pavimentazioni, stoviglie, oggetti decorativi, l’apporto dei “figuli”.

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“Lumiera antropomorfa  e  Paggio porta candela” – Museo Regionale della Ceramica Caltagirone

Dagli “Annali della confraternita dell’Immacolata”, che il Polizzi compilò fino a qualche anno prima della sua morte avvenuta nel 1749, si rilevano quasi tutti i nomi dei ceramisti appartenenti alla confraternita, i cui discendenti si trovano fino al secolo XIV, come il Baldini, Campoccia, Palazzo, etc. La produzione vascolare nel primo periodo del secolo XVIII, tende ad avere il fondo in smalto azzurrino con decorazione a fogliame sparso e a cespugli con paesaggi che tracciano il campo. In seguito lo smalto del fondo assume un colore bianco con decorazione in blu e manganese. Verso la metà del secolo XVIII dalla monocromia si passa alla policromia. La decorazione richiama quella veneta dei secoli precedenti con largo fogliame e grandi fiori che contornano scudi con santi. Tale decorazione, presentando una variazione di colori e d’impostazione, sarà felicemente applicata nei pavimenti coevi a grandi disegni. Con la policromia, nel primo periodo del secolo XVIII, la ceramica acquista maggiore vivacità con tinte come il giallo oro, la verde ramina e il manganese unito al blu. In questa stessa epoca sorge anche la maiolica con decorazione plastica. Gli oggetti presentano dei rilievi plastici (che richiamano la plastica siceliota: terrecotte di Gela, San Mauro, Centuripe), e policromi. La plastica sembra che salvi l’arte caltagironese dalla decadenza, infatti, mentre in tutte le fabbriche isolane, le fornaci tendono a spegnersi, qui riescono a sopravvivere. Si producono acquasantiere, lavabi, altari, vasi da fiori, albarelli. Purtroppo con l’inizio dell’ottocento, la decadenza appare sempre più evidente, le stoviglie sono ricoperte da uno smalto tendente al giallognolo, il colore turchino è sostituito da un giallo ferruginoso, verde ramina e manganese. I pavimenti non sono più a grandi disegni ma a motivi modulari, cioè ripetitivi completandosi con solo quattro elementi.
 

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“Contadini” – Giacomo e Giovanni Vaccaro – Museo Regionale della ceramica Caltagirone

I Figurinai

Solo verso la seconda metà del secolo XIX nell’arte caltagironese si riscontra qualcosa di originale e creativo, grazie all’opera dei “figurinai”, che si lega alla creazione di formelle maiolicate che rappresentano figure umane, animali e a oggetti di vario genere che servivano per dare forma ai dolci fatti in casa. La produzione di figurine maiolicate, già nota fin dal XVI secolo, era continuata dopo il terremoto del 1693, per la consuetudine di costruire i presepi in casa, nei conventi e nelle chiese. Tali ceramisti detti “santari” creavano statuine raffiguranti pastori, animali e santi. Sembra che proprio da questo genere abbia avuto origine l’arte figurinaia di Caltagirone, di cui fu iniziatore Giacomo Bongiovanni, che si servì anche dell’insegnamento del fratello più grande, Salvatore Bongiovanni. Quest’ultimo aveva frequentato la bottega del parente Antonio Bertolone, locale stovigliaio e abile modellatore di acquasantiere e lavabi. Giacomo Bongiovanni, in un primo tempo, seguì l’arte tradizionale locale, ma il suo stile e la tecnica in seguito mutarono.
Si pensa che tale cambiamento avvenisse quando egli, vedendo una statuetta di legno e tela del trapanese Giovanni Matera, ideò di rivestire con sottili fogli di argilla tagliati, sistemati e modellati, le figurine di terra. L’artista, per la sua estrema sensibilità e l’acuto spirito di osservazione, riuscì a cogliere gli atteggiamenti e gli aspetti più caratteristici dei personaggi che popolavano l’ambiente in cui viveva. Il Bongiovanni trasmetteva e riproduceva con grande bravura nelle sue figurine, tutto ciò che vedeva: come le liti delle comari, i medicanti ciechi, i contadini che mietevano nei campi e ritornavano sugli asini, dipingendoli con colori a tempera e olio. Con la stessa sensibilità e penetrazione psicologica, cercò di riprodurre nei suoi gruppi gli stessi personaggi che le situazioni d’ambiente creavano, come “i mafiosi” e i briganti; ma in queste immagini riuscivano meglio il nipote Giuseppe Vaccaro e un altro plastificatore caltagironese, coevo di questo, Francesco Bonanno.

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“Contadini in piazza” – Giacomo e Giovanni Vaccaro – Museo Regionale della ceramica Caltagirone

La produzione del Bongiovanni, per la sua naturalezza e spontaneità di espressione e di coloritura, fu apprezzata anche fuori dall’ambiente calatino. Il Bongiovanni associò, più tardi, alla sua attività, il nipote Giuseppe Vaccaro tanto che la bottega prese il nome di Bongiovanni-Vaccaro. Il nipote continuò l’opera dello zio, ma i soggetti che preferiva ritrarre appartenevano all’ambiente borghese e aristocratico. Sulla scia di questi due grandi maestri altri artisti, come Francesco Bonanno, continuarono la tradizione locale dando, alle loro opere, un notevole impulso. Nell’ottocento, con l’introduzione dell’uso del cemento nei pavimenti e col dilagare di manufatti continentali, la ceramica calatina, che continuava a usare i procedimenti tradizionali, prettamente artigianali, subisce un duro colpo. In questo periodo di decadenza, si distinguono comunque Giuseppe Di Bartolo ed Enrico Vella. Quest’ultimo, assieme a Gioacchino Alì, lasciò eccellenti esempi in opere che ornano la città (vedi villino Vella) e il monumentale cimitero.

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Vaso a boccia –  Museo Regionale della ceramica Caltagirone

Dopo di loro, la città avrebbe cessato di essere annoverata fra quelle produttrici di maioliche se non fosse sorta, nel 1918, per merito di Don Luigi Sturzo, che vi radunò i più autentici interpreti dell’antica tradizione artigiana ceramica, essa continua ancora oggi a formare gli abili artigiani che nelle loro botteghe danno vita   ad   oggetti   di incommensurabile bellezza, trasmettendo loro i segreti e la passione per un’arte antica, efficace testimone di una cultura millenaria. Il ceramista Gesualdo Di Bartolo, il plastificatore Giuseppe Nicastro e il figurinaio Giacomo Vaccaro, nipote di Giuseppe Vaccaro; ultimi rappresentanti di quella morente tradizione, vi fecero parte. In modo particolare Giacomo Vaccaro, riallacciandosi ai tempi nuovi, continuò a trasmettere nelle sue opere la creatività dei due più grandi figurinai introducendo, però, nelle sue opere, figure estranee all’ambiente calatino.
La Scuola della Ceramica, diventata istituto Statale d’arte, ha dato esempi di vitalità artistica in realizzazioni di vasta portata, come il rivestimento maiolicato della monumentale scala di Santa Maria del Monte, per quanto riguarda i monumenti cittadini, e il Museo Regionale della Ceramica che, con vaste raccolte di cimeli ceramici, dà ai visitatori quadro completo dello svolgimento dell’arte della ceramica attraverso i secoli non solo a Caltagirone, ma anche dell’intera isola. In modo particolare meritano attenzione le documentazioni ceramiche medievali, arabe, normanne, sveve, ragonesi e la ricchissima raccolta di mattonelle del XVI e XVII secolo proveniente da pavimenti di chiese calatine che, dopo i danni causati dall’ultima guerra, ebbero bisogno di essere rifatti. A questo Museo, possono attingere gli artigiani locali, per trovare nuove ispirazioni senza perdere di mira le glorie del passato.
 

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I Presepi

I presepi di Caltagirone si rifanno ad un contesto sfarzoso, come in quelli napoletani, ma raffigurano con grande semplicità ed una minuziosa cura dei particolari scene di vita popolare. In maiolica policroma o in semplice terracotta, di gusto tradizionale o in stile contemporaneo, i presepi di Caltagirone sono segno, ad un tempo, della profonda religiosità popolare e della sapienza artigianale di questa città.
 

  

I Fischietti

Giocattoli di creta, plasmati in una incredibile molteplicità di soggetti dalle tante valenze magiche ed allegoriche, i fischietti nel periodo della loro massima diffusione erano considerati giocattoli poveri e di scarsa importanza, modesti oggetti di argilla grezza o vistosamente colorata, trascurabili e senza alcuna pretesa artistica, oggetti da regalare ai bambini all’approssimarsi della primavera. Oggi sono ricercatissimi oggetti da collezione e, spesso, stupefacenti esempi di una produzione di alto livello artistico ed originalità espressiva. A custodire la storia e a progettare il futuro della ceramica calatina operano in città due importanti istituzioni il il Museo Regionale della Ceramica e il Museo del Fischietto.
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Il Museo Regionale della Ceramica

Fondato agli inizi degli anni ’50, raccoglie le più significative testimonianze dell’arte ceramica siciliana, dalla preistoria fino ai tempi recenti. Ubicato al culmine di una struttura architettonica settecentesca, il Museo consente una approfondita conoscenza dell’arte della maiolica nella sua evoluzione storica ed espressiva.
Espone una vasta raccolta di ceramiche, circa 2.500 reperti, che forniscono al visitatore un’ampia visione della storia dell’arte ceramica dal IV millennio a.C. all’età contemporanea. È secondo solo al Museo di Faenza per quanto riguarda la documentazione dell’arte ceramica.
L’’itinerario di accesso è in via Roma, l’antica strada regia Maria Carolina, aperta nel Settecento per creare un collegamento tra la parte vecchia della città e la zona nuova di Santa Maria del Gesù. Il percorso di via Roma, che fiancheggia il Giardino pubblico, è delimitato da una balaustra con raffinate e fantasiose decorazioni in maiolica che accompagnano il visitatore fino al cosiddetto Teatrino, una scalinata a terrazza decorata con mattonelle in ceramica del Settecento (ideata dall’architetto siracusano Natale Bonajuto); in cima ad essa si erge il Museo della Ceramica.Il Museo si articola in sette sezioni:
  • Sala didattica: offre una panoramica della produzione ceramica dalla preistoria ai nostri giorni. Di rilievo un cratere del V secolo a.C., decorato a figure rosse, che raffigura la bottega di un vasaio al lavoro sotto protezione della dea Atena che fu ritrovato all’interno di una fornace attiva a Caltagirone in età greca. 
  • Ceramica preistorica, protostorica, greca, siceliota e bizantina. La sala espone molti manufatti dell’eneolitico provenienti da Sant’Ippolito, quali il vaso mistiforme e la fiaschetta, dalle contrade Angelo, Moschitta, Balchino e da località al di là del Salso. Inoltre è visibile la grande tomba del V secolo a.C. rinvenuta in via Escuriales ed il chiusino tombale in calcare con sfingi attergate e scena di danza funebre in rilievo, trovato nella necropoli di Monte San Mauro, del VI secolo a.C. Vi sono esposte inoltre ceramiche greche a figure nere e rosse, terrecotte ellenistiche e vetri romani della collezione Russo-Perez.
  • Patio riservato ai modellini di forni medievali. Sono visibili le riproduzioni in scala di due delle quattro fornaci medievali rinvenute nel 1960 ad Agrigento ( modellini del prof. Antonino Ragona). La prima fornace è del periodo arabo, la seconda d’epoca angioino- aragonese.
  • Ceramica medievale. Nella sala sono esposte ceramiche siculo-arabe dal X al XV secolo. Fra le più antiche quelle ben documentate rinvenute ad Ortigia, nell’area del Tempio d’Apollo, dove si trovavano fornaci per la produzione ceramica in età medievale. Da notare: una ciotola del X secolo, con invetriatura piombifera e decorazione dipinta in giallo, verde e bruno; ciotole in protomaiolica decorate in bruno e verde o in policromia del XIII secolo, ed un terzo gruppo decorato in bruno del XIV secolo; e poi brocche, anfore e boccali. Le brocchette sono dotate di un particolare filtro all’attacco del collo, forse per le impurità dell’acqua dei pozzi. Nei reperti a partire dal XV secolo l’invetriatura del rivestimento delle ceramiche diviene più brillante e corposa, assumendo le caratteristiche dello smalto. Da questo secolo vengono definite maioliche. Di tale periodo sono ciotole decorate in monocromia in blu con motivi fitomorfi, piatti decorati in blu e lustro con motivi floreali.
  • Ceramica rinascimentale. Sono esposte maioliche per la mensa o per la conservazione dei cibi e decorate in blu, blu e verde o blu e giallo, prevalentemente di produzione di Caltagirone; coppe e ciotole con motivi vegetali e floreali e numerose maioliche del XVII secolo.
  • Ceramica barocca. Si trovano anfore da sacrestia e acquasantiere con applicazioni plastiche, del XVII secolo con soggetti vegetali, animali e piccole figure di santi.
  • Grande sala con panoramica di tutta la maiolica siciliana dal XVII al XIX secolo. Nelle vetrine pregevoli vasi, albarelli, bombole che raffigurano angeli, santi, stemmi e profili femminili. Pregevoli lucerne antropomorfe e maioliche con decorazioni in smalto blu turchino. Inoltre pavimenti maiolicati, grandi vasi ornamentali in maiolica e mattonelle segnaporta smaltate. Ed originali scaldamani in maiolica del XVII secolo a forma di pesce o di tartaruga. Infine, ceramiche d’autore, fra cui le terrecotte settecentesche di Giacomo Bongiovanni (1772-1859): la Natività, la Bottega del Ciabattino, lo Zampognaro e i Suonatori Ciechi. Il presepe di Giuseppe Vaccaro Bongiovanni e il gruppo in terracotta raffigurante una lite fra nuora e suocera. Completano l’esposizione altri gruppi figurati di Giuseppe Vaccaro e di Giuseppe Failla, in particolare l’opera raffigurante San Giacomo Maggiore Apostolo.

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Il marchio Decop

Dal dicembre 2003 il marchio Decop, la Denominazione Comunale di provenienza, caratterizza la maiolica di Caltagirone, unica realtà del genere legata all’artigianato, nell’Italia centrale e meridionale, tanto da essere valso un importante riconoscimento, attribuito al Comune nel corso di una cerimonia alla Camera dei Deputati svoltasi a ottobre 2007. Il Decop serve a tutelare dalle imitazioni le caratteristiche di produzione e le tradizionali lavorazioni degli artigiani locali e inoltre non è solo difesa della tipicità dei prodotti, ma anche promozione del territorio e impegno alla qualità. Esso rappresenta bene l’identità e l’appartenenza ed è pertanto un forte valore aggiunto allo sviluppo locale.

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