Luigi Sturzo
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Senatore della Repubblica Italiana
Senatore a vita
Durata mandato 17 dicembre 1952 –
8 agosto 1959
Legislature I, II, III
Gruppo
parlamentare
Misto
Tipo nomina Nomina presidenziale di Luigi Einaudi
Sito istituzionale

Dati generali
Partito politico Partito Popolare Italiano[1]
Titolo di studio baccellierato in Teologia
Università Pontificia Università Gregoriana e Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Professione Presbitero, politico, scrittore e insegnante

Don Luigi Sturzo (ascolta[?·info]; Caltagirone, 26 novembre 1871Roma, 8 agosto 1959) è stato un presbitero e politico italiano.

Biografia

Gli anni della formazione

Luigi Sturzo nacque a Caltagirone il 26 novembre 1871 da Felice Sturzo e Caterina Boscarelli: il padre faceva parte della nobile famiglia dei Baroni d’Altobrando e la madre faceva parte di una famiglia borghese calatina.

Fin da piccolo fu debole di costituzione fisica e quindi fu costretto a rimanere a casa, con le tenerissime cure dei genitori.

Siccome non poté andare a scuola, andò al seminario di Acireale, dove soggiornò dal 1883 al 1886; qui conobbe Battista Arista, suo compagno di camerata.

A causa del tempo cattivo che proveniva dall’Etna, dovette trasferirsi al seminario di Noto, in cui c’era un clima più mite: proprio grazie a questo poté restare presso tale seminario per due anni.

Nel 1888 Luigi Sturzo andò al seminario di Caltagirone e fu un discepolo eletto e prediletto, il migliore, e qui si diplomò nello stesso anno del suo ingresso.

Il 19 maggio del 1894 fu ordinato sacerdote alla chiesa del Santissimo Salvatore dal vescovo di Caltagirone Saverio Gerbino e nel 1896 alla Pontificia Università Gregoriana di Roma ottenne il baccellierato in teologia.

Sempre nel 1894 s’iscrisse all’università della Sapienza di Roma e all’Accademia di San Tommaso d’Aquino. Luigi Sturzo, allo scopo di mettere in contatto gli studenti delle diverse regioni d’Italia, fondò l’Associazione dei Giovani Ecclesiastici, della quale divenne presidente il futuro vescovo di Bergamo Radini-Tedeschi e Sturzo divenne il vicepresidente.

Mentre si preparava alle lauree, insegnò al seminario di Caltagirone filosofia, sociologia, diritto pubblico ecclesiastico, italiano e canto sacro.

Impegno civile e politico

200px-Don_Luigi_Sturzo_nel_1905 DON LUIGI STURZO

 
Don Luigi Sturzo nel 1905

Nel 1897 istituì a Caltagirone una Cassa Rurale dedicata a San Giacomo e una mutua cooperativa, che diede fastidio ai liberali conservatori e fondò anche il giornale di orientamento politico-sociale La croce di Costantino il 7 marzo dello stesso anno.

I redattori de La croce di Costantino furono Mario Carfì, don Luigi Caruso, il canonico Filippo Interlandi-Taccia junior, il canonico Giacomo Compagno, il canonico Giuseppe Montemagno, il canonico Salvatore Cremona, Carmelo Caristia, Diego Vitale, Diego Caristia e il fratello di Luigi Sturzo, Mario Sturzo.[

Quest’ultimo era un uomo colto, d’intelligenza sottile, e fu autore di romanzi e di racconti, come I Rivali, Il figlio dello zuavo e Adelaide e nel 1903 sarebbe diventato Vescovo di Piazza Armerina.

Oltre ai consensi il giornale suscitò le ire dei massoni a causa del metodo rettilineo e coraggioso che usava Luigi Sturzo per ottenere i consensi, quindi il 20 settembre 1897 bruciarono una copia del giornale, nella piazza principale di Caltagirone.

Con i fatti di maggio del 1898, le repressioni antioperaie di Bava Beccaris, gli stati d’assedio nelle principali città, il processo a Davide Albertario, si comincia a delineare l’impossibilità della convivenza all’interno dell’Opera dei Congressi fra conservatori e democratici cristiani.

Il mantenimento dell’unità dei cattolici, voluta da papa Leone XIII, diventava sempre più arduo. Il sacerdote di Caltagirone tentò invano di introdurre nell’Opera una riflessione sui problemi dell’Italia Meridionale, che aveva sempre più approfondito nell’esperienza diretta del mondo contadino negli anni della crisi agraria.

“Pochi — scrisse Gabriele De Rosa — ebbero, come Sturzo, la conoscenza specifica della struttura agraria e artigianale siciliana e la sua capacità di analisi degli effetti negativi del processo di espansione del capitalismo industriale sui fragili mercati del Sud e sulla piccola e media borghesia agricola e artigiana locale, che si sfaldava sotto i colpi di una impossibile concorrenza. Tra le cause della disgregazione dei vari ceti artigianali in Sicilia, Sturzo indicava la ‘forte concorrenza delle grandi fabbriche estere o nazionali di materie prime’; la lotta ‘rovinosa’ che si facevano gli artigiani locali, la mancanza di capitali, l’indebitamento, l’impoverimento delle campagne dovuto alla crisi agraria”.

Luigi Sturzo nel 1900 fu visto tra i fondatori della Democrazia Cristiana Italiana, ma in realtà aveva pure rifiutato la tessera del partito, guidato da Romolo Murri, e nello stesso anno, essendosi scatenata in Cina la Ribellione dei Boxer, che volevano la cacciata degli stranieri dalla Cina, Sturzo presentò formale domanda al vescovo per partire missionario in quelle terre lontane, ma il vescovo, date le sue precarie condizioni di salute, gli negò il suo consenso e Sturzo ubbidì.

Verso i primi anni del Novecento Luigi Sturzo divenne il collaboratore del quotidiano cattolico Il Sole del Mezzogiorno e nel 1902 guidò i cattolici di Caltagirone alle elezioni amministrative.

Nel 1905 verrà nominato consigliere provinciale della Provincia di Catania. Sempre nel 1905, alla vigilia di Natale, pronunciò il discorso di Caltagirone su “I problemi della vita nazionale dei cattolici”, superando il “non expedit”.

Nello stesso anno venne eletto pro-sindaco di Caltagirone (mantenne la carica fino al 1920).

Nel 1912 divenne vicepresidente dell’Associazione Nazionale Comuni d’Italia.

Nel 1915, essendo stato molto attivo nell’Azione Cattolica Italiana, divenne il Segretario generale della Giunta Centrale del movimento.

Fondatore del Partito Popolare Italiano

220px-Don_Luigi_Sturzo_1919 DON LUIGI STURZO

 
Don Luigi Sturzo nel 1919

Nel 1919 fondò il Partito Popolare Italiano (del quale divenne segretario politico fino al 1923) e il 18 gennaio 1919 si compie ciò che a molti è apparso l’evento politico più significativo dall’unità d’Italia: dall’albergo Santa Chiara di Roma, don Sturzo lancia “l’Appello ai Liberi e Forti“, carta istitutiva del Partito Popolare Italiano:

«A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnano nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà»

Nello stesso anno, infine, esce a Roma Il Popolo Nuovo, organo settimanale del neonato partito. Don Sturzo rende il Partito Popolare Italiano una formazione molto influente nella politica italiana e un suo voto impedisce a Giovanni Giolitti di assumere il potere nel 1922, permettendo così l’insediamento di Luigi Facta.

Il confronto con il fascismo

Contro il parere di Sturzo, dopo la marcia su Roma (28 ottobre 1922) il PPI accettò di sostenere il primo governo Mussolini, ottenendo due importanti ministeri (Tesoro, Lavoro e Previdenza sociale). Al IV Congresso del Partito Popolare (Torino, 12-14 aprile 1923), Luigi Sturzo, sostenuto dalla sinistra di Francesco Luigi Ferrari e di Luigi e Girolamo Meda, fece prevalere la tesi dell’incompatibilità fra la concezione “popolare” dello Stato e quella totalitaria del fascismo[4].

La posizione assunta da Sturzo al IV congresso aveva offerto il destro a Mussolini per duri attacchi contro il PPI. Il capo del Fascismo colse l’occasione anche per dare inizio a una dura campagna contro il “sinistro prete”: presentando Sturzo come un ostacolo alla soluzione della questione romana, Mussolini fece anche in modo che Sturzo perdesse l’appoggio delle gerarchie vaticane[4]. Alla fine di questa campagna, il 10 luglio il prete di Caltagirone fu costretto a dimettersi da segretario del partito.

Nel partito si esasperò (con espulsioni e migrazioni verso il PNF) il contrasto tra due anime: la sinistra contraria ad accordarsi con il governo e la destra favorevole alla collaborazione. Alla fine le due correnti del partito pattuirono un’ambigua condotta (“né opposizione, né collaborazione”), linea che durò solo una settimana, visto che alcuni esponenti popolari scelsero di passare all’opposizione, mentre la corrente di destra continuava a collaborare con Mussolini.

Tanto che un solo deputato del PPI non votò la legge Acerbo, la nuova legge elettorale del novembre 1923, concepita per assicurare la maggioranza parlamentare al Partito Nazionale Fascista.

L’esilio

Luigi Sturzo decise di lasciare gli incarichi nel partito e si rifugiò dal 1924 al 1940 prima a Londra, poi a Parigi ed infine a New York.

A Londra animò diversi gruppi politici di italiani fuoriusciti e di cattolici europei fondando il People and Freedom Group; negli USA intrecciò rapporti con Arturo Toscanini, Carlo Sforza, Lionello Venturi, Mario Einaudi, Gaetano Salvemini, l’amico non credente che ebbe a definire l’esule di Caltagirone “Himalaya di certezza e di volontà”.

Dopo lo sbarco alleato in Sicilia nel luglio 1943 riprese i contatti con gli esponenti cattolici siciliani, come Giuseppe Alessi, Gaspare Ambrosini, Salvatore Aldisio e Paola Tocco Verduci fondatrice in Sicilia del Movimento Femminile D.C.e prima donna membro di un Governo in Italia pur se regionale (Regione siciliana), fu tra i sostenitori della concessione dell’autonomia speciale alla Sicilia.

Il ritorno in Italia

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Don Sturzo all’età di circa 80 anni

Dopo il referendum tra monarchia e repubblica ritornò in Italia, sbarcando a Napoli il 5 settembre 1946 e stabilendosi nella casa generalizia delle Canossiane in Roma.

Fu il primo a sollevare il problema della “questione morale”, pubblicando già nel novembre 1946 su L’Italia un articolo dal titolo: “Moralizziamo la vita pubblica”.

Continuò poi questa sua battaglia su Il Giornale d’Italia parlando delle tre “male bestie” che infettavano il sistema italiano: la partitocrazia, lo statalismo e l’abuso del denaro pubblico.

Fu contrario all’idea dello Stato imprenditore, facendo una netta distinzione tra Stato e statalismo: “Lo Stato è un ordine necessario al vivere civile, lo statalismo è il distruttore di ogni ordine istituzionale e di ogni morale amministrativa”.

Difese la libera iniziativa e la cultura del rischio contro lo Stato paternalista: “Lo Stato deve facilitare e integrare l’iniziativa privata, non sostituirla al punto di paralizzarne la funzione”.

E fu il primo a parlare di “democrazia imperfetta” quando, dopo le elezioni del 1948, De Gasperi andò a trovarlo per comunicargli il successo democristiano. Democrazia imperfetta perché senza regolare alternativa per il buon governo dell’Italia.[5]

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La tomba di Luigi Sturzo a Caltagirone

Pur riprendendo una vita politica attiva, non aderì formalmente alla Democrazia Cristiana e non svolse un ruolo dominante nella scena politica italiana, preferendo accettare nell’agosto 1947 la nomina dell’Assemblea regionale siciliana, che lo elesse giudice dell’Alta Corte per la Regione siciliana[6].

Il 17 dicembre del 1951 il consiglio comunale di Siracusa gli conferì, con un voto unanime, raro in piena “guerra fredda“, la cittadinanza onoraria, riconoscendo l’importanza della sua lotta per la libertà.

Nell’aprile 1952, per il timore di un’affermazione nelle elezioni amministrative del comune di Roma della lista socialcomunista, chiamata Blocco del Popolo e capeggiata da un ottantaquattrenne Francesco Saverio Nitti, il Vaticano avallò l’iniziativa che prospettava un’ampia alleanza elettorale che coinvolgesse, oltre ai quattro partiti governativi, anche il Movimento Sociale Italiano e il Partito Nazionale Monarchico[8][9] per “impedire che Roma, centro della cristianità, divenisse una succursale di Mosca, una serva obbediente del Cremlino[8].

L’iniziativa, impropriamente[10] chiamata “operazione Sturzo”, fu portata avanti da Luigi Gedda, presidente dell’Azione Cattolica, con l’incoraggiamento di papa Pio XII, l’appoggio dell’Osservatore Romano, il sostegno di padre Riccardo Lombardi e di una fetta della Curia romana, quella conosciuta come “partito romano“, il cui esponente di punta era il cardinale Alfredo Ottaviani. Portabandiera di questa lista fu scelto Sturzo, il quale, ancora una volta, obbedì alla Chiesa.[11]

Non furono entusiasti dell’iniziativa, per una serie di motivi, Alcide De Gasperi e Guido Gonella. E non lo nascosero.

Mugugnarono anche alcuni piccoli partiti centristi ed alla fine l’operazione Sturzo non andò in porto, grazie anche ad una lettera inviata direttamente al Papa da Giulio Andreotti, in cui gli elencava i rischi di quell’iniziativa.[12]

Rimase giudice dell’Alta Corte fino al 17 settembre 1952, quando fu nominato senatore a vita dal presidente della Repubblica Luigi Einaudi[13].

Sturzo accettò la nomina, aderendo al gruppo misto, solo dopo aver ricevuto la dispensa da Pio XII.

Nel marzo 1959 pubblicò su Il Giornale d’Italia l’Appello ai Siciliani“, uno dei primi testi a parlare esplicitamente dei mafiosi (l’Appello ha dato il titolo anche a una sua raccolta postuma[di articoli).

Morì a Roma l’8 agosto 1959, all’età di ottantasette anni; è sepolto nella chiesa del Santissimo Salvatore a Caltagirone, dove la salma è stata traslata il 3 giugno 1962.

A 40 anni dalla morte il comune di Caltagirone pose nella Scalea del Palazzo Municipale una lapide in sua memoria.

Pensiero politico e sociale

Tutta l’attività politica di Sturzo è fondata su una questione centrale: dare voce in politica ai cattolici. Sturzo si impegna per dare un’alternativa cattolica e sociale al movimento socialista.

Per Sturzo i cattolici si devono impegnare in politica, tuttavia tra politica e Chiesa deve esserci assoluta autonomia.

La politica, essendo complessa, può essere mossa da princìpi cristiani, ma non si deve tornare alla vecchia rigidità e all’eccessivo schematismo del passato. Il Cristianesimo è, insomma, la principale fonte di ispirazione, ma non l’unica.

La società deve saper riconoscere le aspirazioni di ogni singolo individuo: “la base del fatto sociale è da ricercarsi nell’individuo” e l’individuo viene prima della società; la società è socialità: si fonda, cioè, su libere e coscienti attività relazionali.

Sturzo è contrario ad una società immobile ed il movimento è dato dalle relazioni interindividuali tra le persone; la società non deve essere un limite alla libertà dell’individuo.

Non può essere, tuttavia, definito iperindividualista. All’interno di questo schema sociale multiforme la religione non può essere strumento di governo[14].

Il cristianesimo ha dato qualcosa ad ogni corrente politica, quindi nessuno può dire di possedere il monopolio della verità religiosa.

L’individuo deve scegliere da sé se seguire la propria coscienza di buon cittadino o di credente; non è la Chiesa che deve indirizzarlo nell’atto della scelta, la quale attiene strettamente alla sfera individuale del singolo.

Il PPI nasce perciò come aconfessionale: la religione può influenzare, ma non imporre. In questo modo si palesa una concezione liberale del partito.

In economia Sturzo non è un liberale classico, ma rimane fortemente critico verso lo statalismo, difendendo posizioni sinceramente liberali riguardo alla proprietà privata e alla libertà economica[15]: da un lato denuncia il capitalismo di Stato che ritiene dilapidatore di risorse, e dall’altro rimane convinto della possibilità di interventi dello Stato in economia, anche se per un tempo breve e finalizzato ad un risultato.

Il suo faro è la centralità della persona, non delle masse; è un fautore dello stato minimo e censura già all’epoca l’eccessivo partitismo. Si dichiara, inoltre, ostile a una concezione statale panteistica.

In questo modo fonda il Popolarismo, dottrina politica autonoma e originale, ispirata alla pratica della Dottrina sociale della Chiesa cattolica arricchita dal suo pensiero e lavorio, spesso profetica e, pur essendo prettamente pragmatica, profondamente intessuta eticamente.

Sturzo fu avversario del centralismo di Giolitti, di Mussolini, ma anche del primo impianto dell’Italia repubblicana, trovando sbagliata l’assenza del regionalismo, necessario per concedere ampia autonomia individuale.

Fu un grande amante della scrittura storica.

Il pensiero sociale di Luigi Sturzo si innesta in gran parte con la sua vocazione di incrementare il rapporto tra l’azione politica e la visione teoretica di una realtà che risulta essere, infine, oggetto di organizzazioni storico-sociali che rendano conto dell’agire individuale e che, in gran parte, riescano a comprenderlo in modo da farne rispecchiare la natura e l’identità.

Questa concezione si viene formando in rapporto diretto con l’esperienza delle Casse Rurali a Caltagirone in Sicilia, laddove traspare l’impianto della sociologia sturziana al cospetto di esigenze storico-concrete emerse sul territorio in un particolare periodo[16].

Di fatto, la sociologia del prete siciliano sarà semplicemente il risultato della partecipazione più attiva verso il raggiungimento di ideali sociali e politici.

All’origine, il pensiero sociologico di Sturzo si definisce dunque come una teoria sociale e si differenzia dalla filosofia e dalla storia, che indagano rispettivamente la conoscenza razionale della realtà e i processi della sua formazione[17].

Anche se, in parte, ancora controversa, la definizione della sociologia sturziana rende conto del progressivo affermarsi in Italia delle scienze sociali empiriche, al cospetto della critica filosofica e speculativa al positivismo, laddove le scienze sociali tendono a restringersi in un campo di interessi che esulano comunque dalle sintesi tra la filosofia e la teologia[].

In concreto, possiamo anche affermare che al sociologia di Sturzo possiede una certa peculiarità a livello metodologico, fornendo il profilo di una disciplina dotata di un proprio statuto a livello concettuale nonché autonomizzata dalla storia e dalla filosofia e distante dalle fascinazioni positivistiche e dalla speculazione dell’idealismo storicistico[20].

In Sturzo domina il piano della risposta rapida e del dettato della soluzione contingente che sembrano essere le caratteristiche dell’uomo d’azione, le cui esperienza e le cui decisioni denotano il grande impegno.[21]

Processo di beatificazione

Il 24 novembre 2017 si è chiusa a Roma, nel Palazzo Apostolico Lateranense, la fase diocesana della causa di beatificazione del Servo di Dio Don Luigi Sturzo. La sessione era presieduta da monsignor Slawomir Oder, vicario generale del Tribunale ordinario della diocesi di Roma.[22]

Il lavoro è iniziato nel 1997, formalizzato con la presentazione del Supplex libellus nel 1999 e con la costituzione del Tribunale nel 2002, articolato attraverso l’escussione di oltre 150 testimoni.

“Un lavoro notevole, ha ricordato Oder, come notevole è la figura di don Luigi Sturzo, il quale certamente eccelse in molti campi del sapere e dell’agire umano, in particolare della politica, ma che di se stesso usava ripetere: ‘Io sono sacerdote, non un politico’. Speriamo di chiamarlo presto santo”.[23]

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